mercoledì 20 ottobre 2010

Camus- l'odore dei limoni



La madre di Jacques, era tornata a casa una sera fresca e ringiovanita e coi capelli tagliati, affermando, con una falsa allegria, dietro la quale traspariva l’inquietudine, di aver voluto far loro una sorpresa. In effetti fu una sorpresa per la nonna che si era limitata a dire, davanti a suo figlio, che adesso aveva l’aria di una puttana. Ed era poi tornata in cucina. Catherine aveva smesso di sorridere, e sul suo viso si erano dipinte tutta la miseria e la stanchezza del mondo. Poi aveva incontrato lo sguardo del figlio, aveva tentato ancora un sorriso, ma le tremavano le labbra e si era precipitata piangendo in camera propria. Jacques le si era avvicinato. “Mamma, mamma”, aveva detto, toccandola timidamente con una mano. “Sei bellissima così”. Ma lei non lo aveva udito e, con un gesto della mano, gli aveva chiesto di lasciarla sola. E il ragazzo era indietreggiato fin sulla soglia e, appoggiato allo stipite, si era messo a sua volta a piangere d’amore e d’impotenza.

Camus solleva anche il velo sul suo segreto desiderio di vita:

quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, continuava a battere con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una sola volta, un solo secondo, ma per sempre.

Anni prima egli aveva per lungo tempo lavorato alla stesura di Caligola. Gli intellettuali contemporanei riconobbero, dietro la maschera del folle imperatore, la figura di Hitler ed è ben visibile in altri personaggi la coscienza lucida di chi, a quei tempi, pur consapevole della tirannide, non seppe opporvisi per la debolezza della propria identità culturale.

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