sabato 25 dicembre 2010

Buon Natale












Signore Gesù Cristo, tui che sei nato a Betlemme, vieni a noi!
Entra in me, nella mia anima.
Trasformami. Rinnovami.
Fa' che io e tutti noi diventiamo persone
nelle quali il tuo amore si rende presente
e il mondo viene trasformato»
Benedetto XVI

martedì 30 novembre 2010

Vittorio Bodini- Dopo la luna, " come farò"














Vi sono anime fatte per domandare / e altre per rispondere: / la mia è una persiana verde con due occhi dietro.



VITTORIO BODINI, Dopo la luna, “Come farò”

Buzzati Dino- Decorazioni di Natale












E tu a Natale cosa fai?

«Mah, pensavo di fare il solito albero, ma Giantomaso e Almachiara, i miei più piccoli, si sono messi a contestarlo, dicono che a Mao assolutamente non piace. Pensavo di fare il presepio, ma sembra che le punte più avanzate del Concilio lo abbiano messo in quarantena. Pensavo di mettere qualche ghirlanda d’argento, qualche palla di vetro, qualche candelina, e così via, almeno nell’angolo dove alla vigilia si ammucchiano i regali, ma Pierfrancesco, il mio secondo, dice che è un rito schifosamente consumistico. Pensavo, sopra e intorno al caminetto, di mettere in mostra i “christmas cards” ricevuti, ce ne sono divertenti da morire, ma Giorgiopaolo, il mio grandicello, dice che Marcuse è contrario. Pensavo, sulla terrazza, fuori, di costruire un bel Babbo Natale con la neve, ma il colonnello Bernacca dice che per Natale la neve non verrà”.«E per Natale tu, a casa, cosa fai?»

«E allora?»

«Niente. Pulirò i vetri».

mercoledì 20 ottobre 2010

Camus- l'odore dei limoni



La madre di Jacques, era tornata a casa una sera fresca e ringiovanita e coi capelli tagliati, affermando, con una falsa allegria, dietro la quale traspariva l’inquietudine, di aver voluto far loro una sorpresa. In effetti fu una sorpresa per la nonna che si era limitata a dire, davanti a suo figlio, che adesso aveva l’aria di una puttana. Ed era poi tornata in cucina. Catherine aveva smesso di sorridere, e sul suo viso si erano dipinte tutta la miseria e la stanchezza del mondo. Poi aveva incontrato lo sguardo del figlio, aveva tentato ancora un sorriso, ma le tremavano le labbra e si era precipitata piangendo in camera propria. Jacques le si era avvicinato. “Mamma, mamma”, aveva detto, toccandola timidamente con una mano. “Sei bellissima così”. Ma lei non lo aveva udito e, con un gesto della mano, gli aveva chiesto di lasciarla sola. E il ragazzo era indietreggiato fin sulla soglia e, appoggiato allo stipite, si era messo a sua volta a piangere d’amore e d’impotenza.

Camus solleva anche il velo sul suo segreto desiderio di vita:

quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, continuava a battere con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una sola volta, un solo secondo, ma per sempre.

Anni prima egli aveva per lungo tempo lavorato alla stesura di Caligola. Gli intellettuali contemporanei riconobbero, dietro la maschera del folle imperatore, la figura di Hitler ed è ben visibile in altri personaggi la coscienza lucida di chi, a quei tempi, pur consapevole della tirannide, non seppe opporvisi per la debolezza della propria identità culturale.

sabato 16 ottobre 2010

Cardarelli Vincenzo- L' attesa















Oggi che t’aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere,
ha di quest’improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.

Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

(da “Poesie”, 1958)


domenica 10 ottobre 2010

Pierpaolo Pasolini























L'intelligenza non avrà mai peso, mai

nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.

lunedì 4 ottobre 2010

Eugenio Montale- La felicità

Felicità raggiunta, si cammina per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

(da "Ossi di seppia", 1928)

.

venerdì 20 agosto 2010

Buzzati Dino























Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.

Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.

Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.

Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.

Tu diresti "Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.

E non diresti "Che bello! ", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.

Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.

Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina.

E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.


martedì 1 giugno 2010

Ada Merini















Tu non sai: ci sono betulle che di notte levano le loro radici, e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni. Pensa che in un albero c'è un violino d'amore. Pensa che un albero canta e ride. Pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita. Te l'ho già detto: i poeti non si redimono, vanno lasciati volare tra gli alberi come usignoli pronti a morire.

ALDA MERINI, L’anima innamorata

sabato 22 maggio 2010

Anna Montero- Ho abitato la tua pelle









HO ABITATO LA TUA PELLE

Ho abitato la tua pelle,
i tuoi sogni.
Al di là di te e di me
una nostalgia di vecchi orizzonti
si insinua.
Dalla luce più incerta
vedremo passare le notti, i giorni,
l'oscurità e le distanze.
vedremo passare il corteo
degli assenti,
e la paura ci guarderà dalla finestra.

Ho abitato la tua pelle
e i tuoi sogni
e nella casa abbiamo costruito
una stanza o un fiume
che ci porta
verso altri sogni
che forse ci sogneranno
fino allo sguardo ultimo.

(da “Parlano le donne – Poetesse catalane del XXI secolo, Pironti, 2008)


.

domenica 9 maggio 2010

Tjutcev F. I. - Amo i tuoi occhi















Amo i tuoi occhi, amica mia,

E il loro gioco d’incanto e di fuoco,

Quando, d’un tratto, tu li sollevi

E come un lampo nel cielo

Rapida intorno ti guardi…


Ma vi è un incanto ancor più intenso;

Quando nei tuoi occhi chini,

Nel momento del bacio appassionato,

Attraverso le tue ciglia abbassate

Arde il cupo fuoco del desiderio.

(F. I. Tjutčev)



sabato 8 maggio 2010

ArsenijTarkovskj-" e lo sognavo e lo sogno..."
























«E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra, e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà, e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno. Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo un’onda dietro l’altra si frange sulla riva, e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello, e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra. Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò. La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia solo, come orfano, pongo me stesso solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi di mari e città risplendenti tra il fumo. E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.»

lunedì 3 maggio 2010

ArsenijTarkovskj-Primi incontri

Kokoschka- La sposa del vento

Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.

Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e – Dio mio! – tu eri mia.

Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tu svelò
il proprio nuovo significato: zar.

Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.

Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo…

Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.

( “Primi incontri, in Poesie scelte” 1989


sabato 24 aprile 2010

Anna Achmatova- La Sentenza


















Ho molto da fare oggi/bisogna uccidere fino in fondo la memoria/bisogna che l'anima si pietrifichi/bisogna di nuovo imparare a vivere."

venerdì 23 aprile 2010

Sulla bellezza dell'imperfezione























In un mondo che teorizza guerre "intelligenti" e obbiettivi "mirati", la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. Questo libro parla della nostalgia di oggetti e luoghi perduti, parla dell'incuria che l'uomo ha per le cose che sono il suo destino, parla della violenza che la tecnologia moderna opera sui nostri luoghi e sul nostro mondo, del silenzioso camminare in un viottolo di campagna, di cortili abbandonati, della pioggia che cola sui vetri. Sono le povere cose che testimoniano un mondo perduto, le cui tracce appena visibili costituiscono il tessuto della nostra vita.



giovedì 22 aprile 2010

Mens sana- primi passi..















V. Van Gogh, Primi passi 1889


"" Ogni Viaggio inizia dal primo passo..""

mercoledì 21 aprile 2010

Perchè mi piace Hopper....


E. Hopper, Cape Cod morning (1950), oil on canvas.


Spesso penso a un quadro di Hopper per esprimere una sensazione, un'impressione, un pensiero non del tutto definito. Definire un pittore per un non specialista è come addentrarsi in un luogo sconosciuto senza i necessari punti di riferimento, ma l'arte non è solo per i critici d'arte, anzi non è dei critici d'arte. Così provo a spiegare perché Hopper mi piace.

È il pittore delle finestre: bow-windows, vetrate con tende svolazzanti, spalancate, semichiuse su stanze vuote o sul mare.

È il pittore dei luoghi-non-luoghi: scompartimenti di treno, sale d'aspetto, stazioni di servizio con o senza presenza di uomini. Ma dove persone ci sono, sono persone che aspettano, che attendono qualcuno, che pensano a qualcosa che sai anche tu. Perché sono persone come te.

Dipinge anche paesaggi di bellezza fuori dall'ordinario: quieti, illuminati, in cui l'uomo c'è ma non si vede. C'è il mare, spesso. E ci sono fari in cui tu sai che da qualche parte affacciato a qualche finestra c'è un uomo, o una donna che guarda l'orizzonte.

Ma è anche il pittore delle scene che raccontano: quadri che sembrano scatti fotografici lasciano immaginare tutta una vita dietro. Potresti forse raccontare tu chi sono le persone ritratte in certe scene, dire ciò che lega l'una all'altra e spiegare cosa le ha spinte a trovarsi là dove il pittore le vede....

martedì 20 aprile 2010

Hanna Arendt - Eichmann a Gerusalemme



















Pensiero non è conoscenza; è l'attitudine a discernere il bene dal
male, il bello dal brutto..

lunedì 19 aprile 2010

Alda Merini- L'anima innamorata




Io non ho bisogno di denaro.

Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti….
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi





L’anima ha il suo rifugio nell’amore come tempio di un’avarizia terrena che gli dei non possono toccare, ma l’anima è anche parola, parola inconscia. E’ sbagliato identificare l’inconscio con il tempio dell’anima: è un’altra stagione, è un altro nutrimento, ci si ciba di cose estranee all’umana parola, di cose che non hanno ragione di essere eppure sono, di cose che sibilano come serpi e che invece sono angeli di illuminazione.
Da L'anima innamorata di Alda Merini

sabato 17 aprile 2010

La Valigia di Irene Nemirovsky-

E volevano arrestare anche Denise che verrà salvata dalla maestra: la nasconderà nello spazio tra il suo letto e il muro.

Le sorelle affidate alla nutrice, trascorrono l’ultimo periodo della guerra sempre in fuga, inseguite dalla polizia francese più che dai nazisti e saranno sempre protette da persone che si prenderanno cura di loro: due bambine ebree, orfane e malate, rifugiate in cantine e soffitte e convitti. Verranno, invece, rifiutate dalla nonna che le caccia urlando loro che, se i loro genitori erano morti, non restava per le nipoti he l’orfanotrofio.

Denise ed Elisabeth sopravviveranno alla guerra e per tutto questo periodo non abbandoneranno mai la valigia e la custodiranno con amore e dedizione, senza avere però il coraggio di leggere nulla:


“Aspettavo – racconta Denise - che la proprietaria della valigia tornasse a leggere il suo manoscritto di persona. Non sapevo ancora che non sarebbe sopravvissuta. E’ un po’ come quando non si apre la posta il cui destinatario è assente, non ti appartiene e non la leggi. Così per me era la valigia. Il mio compito era solo conservarla”.

venerdì 16 aprile 2010

Marina Cvetaeva Lettere 1909 -1925


A lungo, a lungo,- fin dall'infanzia, fin da quando ho ricordo di me stessa,-mi è sembrato di voler essere amata.
Adesso io so che non mi serve l'amore, mi serve la comprensione.. E quello che Voi chiamate amore ( gelosia, sacrificio) tenetelo in serbo per gli altri..
Io posso amare sola la persona che in una giornata di primavera a me preferirà una betulla.
Non dimenticherò mai comi mi abbia fatto infuriare, questa primavera, un poeta, una creatura incantevole, che, camminando insieme con me per il Cremlino,senza guardare la Moscova e le cattedrali, mi parlava incessantemente di me. Io gli ho detto: "Come potete non capire che il cielo è mille volte più grande di me, come potete pensare che in una simile gionata io possa pensare al vostro amore.
Io voglio invece leggerezza,libertà, comprensione- non trattenere nessuno,e che nessuno mi trattenga. Tutta la mia vita è una storia d'amore con la mia anima, con la città in cui vivo, con l'albero al bordo della strada, -con l'aria.
E sono infinitamente felice.

giovedì 15 aprile 2010

D'aprile mi rammento. Traboccava
il cuore come il glicine dai muri.
Erravano i miei passi ebbri e sicuri,
ed un vento fiorito li portava".


SERGIO SOLMI, “Dal quaderno di Mario Rossetti“, Poesie, 1950


“Aprile è il mese più crudele; fa nascere
i lillà dalla terra addormentata, e mescola
memoria e desideri, risveglia
secche radici con le piogge di primavera”.


THOMAS STEARNS ELIOT, “La Terra Desolata“, 1922


"Aprile, il mese crudele".

VINICIUS DE MORAES, “Sonetto di maggio”, Libro di sonetti, 1967


"Non torna aprile, ogni anno,
spoglio, in fiore, cantando,
sul suo cavallo bianco?"

JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, “Epitaffio di un ragazzo morto ad aprile”, Eternità, 1917


"Sotto il cielo di aprile la mia pace
è incerta. I verdi chiari ora si mutano
sotto il vento a capriccio".

SANDRO PENNA, “Sotto il cielo di aprile”, Poesie, 1931

"Aprile s’affaccia, brucia, brucia le foglie
sui fogli scritti appena scritti.
Così calmo. Anche il mese crudele. Si
Aprile viaggia su strani arcobaleni."


ROBERTO ROVERSI, “L’Italia sepolta sotto la neve”, 1984

mercoledì 14 aprile 2010

Sofija Jakovlevna Parnok " A lungo vissi, amando libertà..





A lungo vissi, amando libertà,

Pensando a Dio non più che faccia uccello,

Solo tenendo il volo per il volo...

Si ricordò di me il Signore, - ed ecco,

L’anima s’alzò in me, come una fiamma,

Tuttò s’illuminò. – Io t’ho trovato

Per dissolvermi in te e di nuovo nascere

Ad altri giorni, a rinnovate altezze

martedì 13 aprile 2010

Antonia Pozzi- "" E di cantare non può più finire....""


















“Forse è perché quella rimasta in me è particolarmente lieta, forse perché, se pure alcunché di doloroso o di violento è passato nella mia vita tranquilla, io ho vissuto questa vita intensamente, godendo quasi della mia stessa sofferenza, esultante per la gioia di poter vivere entro di me, di sentirmi dentro, chiusa come in uno scrigno, un’anima, un’anima palpitante, ridente, nostalgica, appassionata; è forse per questa piena di sentimenti, per cui in una giornata soffro e godo ciò che apparentemente si può soffrire e godere in tutta un’esistenza, che rimpiango il passato, che adoro il presente, che non desidero l’avvenire; perché sono contenta di essere io, con i miei difetti e con le mie poche virtù, perché non so se in avvenire potrò essere ancora così”. (Diari, MI, 1988 – pp 30-31)


Se io capissi
quel che vuole dire
- non vederti più -

credo che la mia vita
qui - finirebbe.

Ma per me la terra
è soltanto la zolla che calpesto
e l'altra
che calpesti tu:
il resto
è aria
in cui - zattere sciolte - navighiamo
a incontrarci.

lunedì 12 aprile 2010

Emily Dickinson - L'eternato canto





















"
Spiegare la bellezza significa intaccarla
e definire il fascino, avvilirlo
La mia mente s'affanna a ricercare
quella parola; invano, ma ogni volta
la rapisce un'estatica certezza
di ricchezze segrete- di intime miniere
."







































domenica 11 aprile 2010

Le signorine di Wilko-Alla ricerca del tempo perduto


Il passato e i ricordi sono il tema centrale dello spettacolo teatrale - Le signorine di Wilko, melanconia e nostalgia non solo sentimenti melodrammatici ma qualità esistenziali che hanno caratterizzato la coscienza culturale dell'Europa fino alla fine del xx secolo.
Siamo ora testimoni della morte della vecchia Europa e qualsiasi lavoro artistico creato oggi ha in tal senso un valore di necrologio.
Restano solo i ricordi.

sabato 10 aprile 2010

Katherine Mansfield-L'ombra e la grazia



















"" Dio, fammi puro cristallo, si che la tua luce
mi possa tutta attraversare!""



La bambina Katherine non ha paura di mettersi in gioco, di lasciarsi trasportare da un moto di stupore per la bellezza del creato: bellezza imprevista, insperata, eccedente. Esperienza di bellezza che, in quanto veicolo di trascendenza, diviene intuizione di un’alterità, sapienza in attesa di una rivelazione esterna e gratuita.

venerdì 9 aprile 2010

Ada Negri- La percezione di un amore senza ritorno


Il dono

Il dono eccelso che di giorno in giorno

e d'anno in anno da te attesi, o vita
(e per esso, lo sai, mi fu dolcezza
anche il pianto), non venne: ancor non venne.
Ad ogni alba che spunta io dico: "È oggi":
ad ogni giorno che tramonta io dico:
"Sarà domani". Scorre intanto il fiume
del mio sangue vermiglio alla sua foce:
e forse il dono che puoi darmi, il solo
che valga, o vita, è questo sangue: questo
fluir segreto nelle vene, e battere
dei polsi, e luce aver dagli occhi; e amarti
unicamente perché sei la vita.

giovedì 8 aprile 2010

Wislawa Szymborska



Qualche parola sull'anima

L’anima la si ha ogni tanto,

nessuno la ha di continuo, per sempre.
Giorno dopo giorno,
anno dopo anno,
possono passare senza di lei.
A volte nidifica un po’ piu’ a lungo,
sole in estasi e paura dell’infanzia,
a volte solo nello stupore dell’essere vecchi.
Di rado ci da una mano in occupazioni faticose,
come spostare mobili, portare valige
o percorrere le strade con scarpe strette,
quando si compilano moduli,
si trita la carne,
di regola ha il suo giorno libero.
Su mille nostre conversazioni
partecipa ad una,
ed anche a questo non necessariamente,
poiche’ preferisce il silenzio,
quando il corpo comincia a dolerci e dolerci,
smonta di turno, alla chetichella,
e’ schifettosa,
non le piace vederci nella folla,
il nostro lottare per un vantaggio qualunque
e lo strepito degli affari, la disgusta,
gioia e tristezza
non sono per lei due sentimenti diversi,
e’ presente accanto a noi
solo quando essi sono uniti.,
Possiamo contare su di lei
quando non siamo sicuri di niente
e curiosi di tutto,
tra gli oggetti materiali
le piacciono gli orologi a pendolo
e gli specchi, che lavorano con zelo
anche quando nessuno guarda.
Non dice da dove viene
e quando sparira’ di nuovo,
ma aspetta chiaramente simili domande.
Si direbbe che
cosi’ come lei a noi,
anche noi siamo necessari a lei,

per qualcosa.








mercoledì 7 aprile 2010

Cristina Campo




















" Eppur amo il mio tempo...il tempo della bellezza in fuga"

martedì 6 aprile 2010

Bella Achatovna Achmadulina















Il giardino

Sono uscita in giardino, il rigoglio lussureggiante

però non sta qui ma nella parola "giardino"
che riempie l'orecchio, le narici e lo sguardo
della beltà delle rose cresciute.
La parola è più ampia del luogo:
lì si è comodi e liberi,
lì la terra fertile adotta come figli
gli orfani arbusti che vi crescono.
Virgulto d'ignote innovazioni,
o parola "giardino", come un giardiniere
fai crescere e moltiplichi i tuoi frutti
con scintillio e stridor di cesoie.
Hanno trovato posto nel tuo libero abbraccio
la casa e il destino della famiglia
che non c'è, e il fiore bianco-smunto
di quella panchina da giardino.
Sei più fertile della terra, nutri
le radici delle chiome altrui, sei
la quercia, la cavità nel tronco, Dubrovskij,
la posta dei cuori e delle parole: amore e sanguel.
Le fronde tue ombrose
sono sempre scure, ma nella calura
perché ha chinato il capo turbato
l'ombrellino di pizzo innamorato?
Non sono forse io, cercatore di un'indolente manina,
ad arrossare il mio ginocchio sul pietrisco?
Misero giardiniere impertinente,
cosa cerco, a chi m'inchino?
Se fossi uscita, dove mai
sarei andata? È maggio, e il fango è secco.
Sono uscita nel vuoto smagrito
per leggervi che la vita è passata.
Passata! Dov'è andata di corsa?
Ha appena sfiorato l'asciutto tormento
delle labbra mute: ha detto che
tutto è per sempre e che io sono per un attimo.
Un attimo in cui non ho visto
né me né il giardino.
"Sono uscita in giardino", ho scritto.
L'ho scritto? Vuoi dire che c'è
almeno qualcosa? Sì, ed è stupendo:
in giardino senza muovere un passo.
Non sono uscita. Ho solo
scritto: "Sono uscita in giardino".

(1980)

In tempo di persecuzioni politiche e censura, la grande poetessa russa invoca libertà di spirito e di parola, caricando la sua poesia di responsabilità etica. Una ricerca costante del ruolo del poeta nella società “del disgelo” sovietico.