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Entra in me, nella mia anima.
Trasformami. Rinnovami.
Fa' che io e tutti noi diventiamo persone
nelle quali il tuo amore si rende presente
e il mondo viene trasformato»
Benedetto XVI
«E allora?»
«Niente. Pulirò i vetri».
La madre di Jacques, era tornata a casa una sera fresca e ringiovanita e coi capelli tagliati, affermando, con una falsa allegria, dietro la quale traspariva l’inquietudine, di aver voluto far loro una sorpresa. In effetti fu una sorpresa per la nonna che si era limitata a dire, davanti a suo figlio, che adesso aveva l’aria di una puttana. Ed era poi tornata in cucina. Catherine aveva smesso di sorridere, e sul suo viso si erano dipinte tutta la miseria e la stanchezza del mondo. Poi aveva incontrato lo sguardo del figlio, aveva tentato ancora un sorriso, ma le tremavano le labbra e si era precipitata piangendo in camera propria. Jacques le si era avvicinato. “Mamma, mamma”, aveva detto, toccandola timidamente con una mano. “Sei bellissima così”. Ma lei non lo aveva udito e, con un gesto della mano, gli aveva chiesto di lasciarla sola. E il ragazzo era indietreggiato fin sulla soglia e, appoggiato allo stipite, si era messo a sua volta a piangere d’amore e d’impotenza.
Camus solleva anche il velo sul suo segreto desiderio di vita:
quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, continuava a battere con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una sola volta, un solo secondo, ma per sempre.
Anni prima egli aveva per lungo tempo lavorato alla stesura di Caligola. Gli intellettuali contemporanei riconobbero, dietro la maschera del folle imperatore, la figura di Hitler ed è ben visibile in altri personaggi la coscienza lucida di chi, a quei tempi, pur consapevole della tirannide, non seppe opporvisi per la debolezza della propria identità culturale.
Oggi che t’aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere,
ha di quest’improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.
(da “Poesie”, 1958)
da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
Felicità raggiunta, si cammina per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
(da "Ossi di seppia", 1928)
.
Ho abitato la tua pelle,
i tuoi sogni.
Al di là di te e di me
una nostalgia di vecchi orizzonti
si insinua.
Dalla luce più incerta
vedremo passare le notti, i giorni,
l'oscurità e le distanze.
vedremo passare il corteo
degli assenti,
e la paura ci guarderà dalla finestra.
Ho abitato la tua pelle
e i tuoi sogni
e nella casa abbiamo costruito
una stanza o un fiume
che ci porta
verso altri sogni
che forse ci sogneranno
fino allo sguardo ultimo.
(da “Parlano le donne – Poetesse catalane del XXI secolo, Pironti, 2008)
.
Amo i tuoi occhi, amica mia,
E il loro gioco d’incanto e di fuoco,
Quando, d’un tratto, tu li sollevi
E come un lampo nel cielo
Rapida intorno ti guardi…
Ma vi è un incanto ancor più intenso;
Quando nei tuoi occhi chini,
Nel momento del bacio appassionato,
Attraverso le tue ciglia abbassate
Arde il cupo fuoco del desiderio.
(F. I. Tjutčev)
Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e – Dio mio! – tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tu svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo…
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.
( “Primi incontri, in Poesie scelte” 1989
E volevano arrestare anche Denise che verrà salvata dalla maestra: la nasconderà nello spazio tra il suo letto e il muro.
Le sorelle affidate alla nutrice, trascorrono l’ultimo periodo della guerra sempre in fuga, inseguite dalla polizia francese più che dai nazisti e saranno sempre protette da persone che si prenderanno cura di loro: due bambine ebree, orfane e malate, rifugiate in cantine e soffitte e convitti. Verranno, invece, rifiutate dalla nonna che le caccia urlando loro che, se i loro genitori erano morti, non restava per le nipoti he l’orfanotrofio.
Denise ed Elisabeth sopravviveranno alla guerra e per tutto questo periodo non abbandoneranno mai la valigia e la custodiranno con amore e dedizione, senza avere però il coraggio di leggere nulla:
“Aspettavo – racconta Denise - che la proprietaria della valigia tornasse a leggere il suo manoscritto di persona. Non sapevo ancora che non sarebbe sopravvissuta. E’ un po’ come quando non si apre la posta il cui destinatario è assente, non ti appartiene e non la leggi. Così per me era la valigia. Il mio compito era solo conservarla”.
"Sotto il cielo di aprile la mia pace
è incerta. I verdi chiari ora si mutano
sotto il vento a capriccio".
SANDRO PENNA, “Sotto il cielo di aprile”, Poesie, 1931
"Aprile s’affaccia, brucia, brucia le foglie
sui fogli scritti appena scritti.
Così calmo. Anche il mese crudele. Si
Aprile viaggia su strani arcobaleni."